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Cassa Peòta. Dalla Serenissima ad oggi, la tradizione continua

Originally posted on 25 Novembre 2016 @ 7:03

Ancora oggi ad un osservatore attento capita di notare ad una certa ora del pomeriggio o della sera di frequente, in un’osteria o in un bar, un certo andirivieni di uomini o di donne attorno ad un tavolo. Fanno la Cassa Peòta.

Niente di illegale. Si tratta di un’invenzione tutta veneziana. Al tavolo è seduta una persona alla quale viene versato del denaro e che scrive accuratamente ogni somma in un registro; sicuramente è una Cassa Peòta.

Strozzinaggio? Debiti di gioco? Fondi per beneficenza? Niente di tutto questo. La Cassa Peòta è una forma di risparmio popolare. Fino a poco tempo fa molto in voga presso i ceti sociali più bassi. Da un lato, è una forma di risparmio o l’opportunità per avere dei piccoli prestiti. Da un altro, è un’occasione per stare in compagnia di amici in cene o scampagnate.

Questa forma di aggregazione popolare ha una tradizione antica. I nobili veneziani, al tempo della Serenissima, possedevano delle splendide ville in terraferma, sulla riviera del Brenta e lungo i corsi d’acqua del Trevigiano, per trascorrervi i mesi della calura. Da qui deriva il termine “andare in villeggiatura”.

Anche le classi inferiori però anelavano al fresco della campagna durante l’estate. E durante le feste, spesso si recavano con le barche fino all’entroterra, risalendo qualche fiume.

Le donne del popolo avevano la loro giornata di festa in campagna, chiamata garanghello.

A questo scopo veniva nominata una cassiera che raccoglieva settimanalmente le loro quote e, raggiunta la cifra necessaria, partivano in festa il giorno convenuto. Di buon mattino si radunavano sul luogo dell’imbarco, dove erano attese dai barcaioli e da due uomini maturi che dovevano far loro da scorta e da custodia.

Le barche con cui venivano portate alla campagna erano le peòte (poi chiamate peàte). Tutte addobbate con tappeti, fiori e banderuole.

Rimase perciò questo modo di “far musina” con il nome di Cassa Peòta. Con gli anni le cose sono logicamente cambiate; un tempo la Cassa Peòta era soltanto una raccolta di piccole somme settimanali che andavano a formare il gruzzolo necessario per la scampagnata, poi è stata lentamente modificata, fino a quella attuale, “modernizzata”.

Ma vediamo come funziona.

Un gruppo di massaie, di amici o di pensionati decide di fare una Cassa Peòta e uno dei componenti, rendendo disponibile una cifra iniziale, decide di fare il “cassiere”.

Si stabilisce una quota individuale da versare alla Cassa che, assieme alla cifra messa dal cassiere andrà a formare il capitale iniziale della Cassa stessa.

Ognuno poi chiede un “prestito” al cassiere, che sarà maggiore della sua quota individuale. Questo prestito dovrà esser restituito in cinque-sei mesi con un piccolo interesse, in rate settimanali.

Ogni settimana perciò, all’ora convenuta, tutti i componenti si trovano per versare la rata (e contemporaneamente bevono, chiacchierano e stanno un po’ in compagnia). La settimana in cui qualcuno non vuole o non può pagare la rata, deve versare una piccola somma, chiamata “multa”.

Alla fine dei sei mesi, quando tutti i prestiti sono stati restituiti, si usa la somma delle “multe” e degli interessi per fare delle cene o delle gite in campagna.

Si possono ancora vedere delle anziane signore che aspettano impazienti la “cassiera”, sgridandola se arriva in ritardo. È una specie di gioco tra amici e conoscenti. Ma a volte ha aiutato qualcuno in difficoltà, evitando le grinfie degli strozzini.

Naturalmente vi sono stati anche degli abusi; qualche cassiere si è volatilizzato con il gruzzolo, ma sono stati casi sporadici.


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